Il Punitore dà una bella lezione
Cinema

Il Punitore dà una bella lezione

Giunto ormai alla sua sesta interpretazione audiovisiva, con poca coerenza tra le varie, fatta eccezione per le numerose pallottole, la serie TV proposta da Netflix “Marvel’s the Punisher” mostra la sua austera giustizia priva di mezze misure, e sempre molto appagante per gli amanti dell’action movie super adrenalinico.

La storia raccontata questa volta parte con un incipit che si innesta nella serie che gli ha permesso di nascere. Già dalla prima puntata della seconda stagione di Daredevil, Frank Castle detto Punisher fa la sua comparsa in medias res senza preamboli né flashback ripetitivi sulla sua storia, ma dà agli appassionati del personaggio la voglia di scoprire volta per volta come si è evoluta e, ai neofiti, la possibilità di conoscere una milestone del dark comics, rimanendo così co-protagonista per tutta la stagione. La comparsa finale con il botto scocca la scintilla di tutti i seguaci che incitano alla realizzazione di una serie a lui dedicata, che faccia comprendere il suo passato, le sue caratteristiche peculiari, che permetta agli innamorati di conoscerlo meglio, di criticarlo, di amarlo, sostenerlo e, forse, seguirlo. Va detto, però, che a differenza delle sue interpretazioni precedenti, questa edizione, data forse dall’estensione che offre il format utilizzato, fa emergere una versione mai vista prima, forse neanche mai scorta nei fumetti, una versione più umana e meno irrigidita dalla fermezza delle convinzioni che assillano il Punitore. La vendetta e l’indomito desiderio omicida rimangono al primo posto, come è giusto che sia, ma qui vengono affiancate ad altre tematiche che rendono il tutto più vicino a un personaggio così particolarmente complesso: la guerra e le sue conseguenze anche sugli individui più duri al mondo. La loro incapacità di tornare a una vita reale si lega nel profondo a un problema molto attuale, e la guerra in Afghanistan rende il quadro molto vicino a noi, più di quanto potremmo immaginare.

Come poter ignorare il velato dolore della perdita, gli incubi che accompagnano i veterani, tutto quel silenzio alla fine degli spari. Il disturbo post traumatico da stress viene affrontato in modo sapiente nello svolgersi della trama, facendo percepire la difficoltà a re-integrarsi in una cosiddetta vita “normale”, fatta di emozioni ed esperienze semplicistiche, integrazione che spesso dipende dalle inclinazioni dell’individuo, al quale si offrono due alternative: accettare la propria situazione (spesso perdendone anche il controllo), oppure fare della guerra un business.

Punisher diviene, in qualche modo, un rappresentante della nostra rabbia e della voglia di ribellarci al sistema che ci ha traditi, la personificazione di una reazione istintiva dettata dalla violenza, da una profonda delusione verso chi ci toglie tutto per scopi venali. Come molti dei personaggi Marvel, che divengono metafora estremizzata delle virtù o dei vizi umani, si può intuire come i comics assumano anche un ruolo di sensibilizzazione nei confronti delle problematiche sociali più comuni che, nel bene o nel male, si ripetono anche a distanza di generazioni, come se ci fossimo dimenticati della loro esistenza. Certo, non fraintendete, l’approccio del Punitore sembra la soluzione a tutto perché è facile e veloce, non richiede troppo sforzo cerebrale. Basta essere sufficientemente animali. Ma in fondo è solo un fumetto, è solo l’esasperazione di una caratteristica che è dentro a ognuno di noi, che va riconosciuta e accettata per comprenderne l’inutilità.
Don’t try this at home.

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