Perché in Europa non sappiamo cosa sia lo sport
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Perché in Europa non sappiamo cosa sia lo sport

A quasi un anno dallo straordinario

Il 2 maggio 2016 è accaduto qualcosa di straordinario: il Chelsea F.C. ha pareggiato con il Tottenham Hotspur, garantendo la vittoria aritmetica della Premier League inglese al Leicester F.C., squadra che fino all’anno prima lottava per non retrocedere. Undici giocatori in campo e un allenatore in panchina, che hanno regalato a una città un sogno al di là di ogni aspettativa. Festeggiamenti stanno avendo luogo da ogni parte d’Europa per questo risultato, alcuni più sobri, altri meno. Alla luce di ciò, viene da chiedersi perché un risultato del genere appassioni tifosi e appassionati di sport col cuore anche molto lontano da Leicester. La risposta risiede nella concezione inconscia (e, a mio avviso, totalmente perversa) che in Europa si ha di sport agonistico a squadre.

IL MODELLO EUROPEO – Nell’Antico Continente siamo soliti vedere i campionati a squadre come leghe nazionali. Il principio è semplice: chi vince è il campione e si becca onori e glorie (e, chiaramente, soldi dalla federazione), chi vince meno arriva un po’ più giù e l’anno dopo ci riprova (anche lui, un po’ meno, riceve soldi dalla federazione), chi non vince tanto, retrocede a “serie minori”, vedendosela con avversari giudicati più scarsi (ricevendo comunque pochi soldi). La squadra che un anno ha ottenuto i risultati peggiori, viene letteralmente categorizzata come “squadra di Serie B” (o C, o D, e così via…), e anziché darle la possibilità di ridurre il gap con le altre della propria serie, viene ridotta a una realtà “minore”. Suona orribile? Non è finita qui! Alla base delle squadre, di solito, c’è il cosiddetto “patron”, che solitamente è un imprenditore; nel caso più generale, egli deriva la propria fortuna da tutt’altra attività, a un certo punto acquista la società sportiva e comincia a investirci sopra. E c’è un modo per impedire che l’imprenditore che possiede più patrimonio da investire possa accaparrarsi i giocatori migliori? No. Nessun tetto salariale, nessuna regola. Le piccole saranno piccole fin quando arriverà un imprenditore dalle più copiose fortune a comprarle.

IL MODELLO AMERICANO – Per illustrare al meglio il modello statunitense, parlerò del football, che è quello che conosco meglio; gli altri sport, con le dovute differenze, seguono le stesse grandi linee di principio. Negli U.S.A. non esiste il concetto di “retrocessione”; non esistono squadre più blasonate e squadre meno blasonate, esistono solo squadre. L’unica distinzione, come livello di gioco, è fra lega nazionale (la NFL) e il campionato universitario. Il campionato, in breve, non comprende tutte le 32 squadre, ma è suddiviso in due conference (AFC e NFC) le quali, a loro volta, sono suddivise in division da 4 squadre, divise sulla base geografica (North, South, West e East). Al termine delle 17 settimane della regular season, vi sono i playoff, suddivisi in 3 settimane: wild card round, divisional round e conference round. I playoff culminano col Super Bowl, che è la finalissima fra le due vincitrici di conference, e che ogni anno si tiene fra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio. Finita la stagione, inizia l’offseason, che va da dopo il Super Bowl ai primi di agosto.

LA CHIAVE – Il vero punto che favorisce il modello americano rispetto a quello europeo, sta nel draft. Esso è un evento che si tiene a ridosso della fine di aprile (durante l’offseason), in cui le squadre del campionato maggiore, seguendo un ordine che va dalla più scarsa della stagione precedente, hanno, nel caso più generale, 7 turni per selezionare e ingaggiare, con le sole spese contrattuali, giocatori dai campionati universitari. Questi turni di selezione, chiaramente, possono essere scambiati in cambio di altri turni o di altri giocatori, ma MAI di un compenso economico. Ecco che, se una squadra ha avuto i risultati peggiori di tutte, non la si mette a confronto con squadre categorizzate “più deboli”, ma le si dà la possibilità di migliorare e ringiovanirsi l’anno seguente. Altro punto focale è che, a differenza dell’Europa, negli States c’è un tetto salariale, che non può essere superato. Le pene per il superamento di questo tetto sono aspre, e ci sono già dagli anni ‘80. Vero, ogni anno questo tetto va aumentando leggermente, ma almeno c’è e ci si deve davvero fare i conti.

DAVIDE CONTRO GOLIA – Sia chiaro: anche il Leicester F.C. ha alle sue spalle un patron e un certo qual patrimonio derivante da diritti televisivi; cionondiméno, la squadra non è tecnicamente altrettanto valorosa; ecco perché quest’impresa rimarrà un’impresa; successi del genere, squadre che sovvertono un sistema sportivo che sembra studiata per far favorire alla vittoria chi può permettersi i giocatori migliori, rimarranno solo brezze di aria fresca che ogni tanto arrivano a quelli che, invece, vorrebbero che queste favole sapessero un po’ più di normalità.

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