Felicia Impastato
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Felicia Impastato

La lunga lotta di Felicia Impastato per la giustizia

Da diversi anni si cerca di dedicare la giusta attenzione e memoria alle vittime di mafia. Quest’anno la RAI, in occasione del 38° anniversario dall’omicidio di Peppino Impastato, ha deciso di dedicare un film alla memoria della madre Felicia, la quale, subito dopo la morte del figlio, ha intrapreso una lunga lotta per ottenere giustizia.

Peppino, proveniva da una famiglia mafiosa: lo zio era il boss di Cinisi, un piccolo paesino arroccato su una montagna nei pressi di Palermo, e il padre uno degli spalleggiatori. Nel 1963 lo zio venne ucciso da Gaetano Badalamenti per diventare il nuovo boss di Cinisi. Peppino, sconvolto dalla morte dello zio, ancora giovanissimo decise di rompere i legami con la famiglia d’origine per iniziare una lotta serrata contro la corruzione e contro il sistema mafioso che spadroneggiava nel suo paese. Con i compagni di democrazia proletaria organizzò diverse manifestazioni e fondò radio aut dove dai suoi programmi partivano denunce verso Badalamenti e verso esponenti politici locali. Giuseppe, il suo vero nome, inoltre, aveva iniziato ad occuparsi di politica tanto da candidarsi per il consiglio comunale di Cinisi e ad essere uno tra gli esponenti di spicco dell’attivismo di sinistra.

Il 9 maggio 1978 venne ucciso dai sicari di Badalamenti che ne inscenarono la morte per l’esplosione di un ordigno che lui stesso stava posizionando.

Fin da subito i carabinieri, visto il suo attivismo, credettero alla messa in scena accusando Peppino di terrorismo e archiviando la vicenda come incidente, inoltre, il giorno del ritrovamento del suo cadavere fecero una perquisizione a casa della madre dove sequestrarono gli ultimi appunti sulle inchieste condotte. Appunti che non furono messi agli atti nei processi e dei quali si persero le tracce. La versione fornita dai carabinieri non convinse la madre e gli amici del giovane che iniziarono una lunga battaglia per riabilitare il suo nome e consegnare l’assassino alla giustizia.

Solo nei primi anni ’90 grazie all’impegno di diversi magistrati tra i quali Scola, Chinnici e Caponnetto si riuscì a dimostrare la matrice mafiosa dell’omicidio di Peppino. Finalmente, nel 1999, si aprì il processo che vide imputato Gaetano Badalamenti per l’omicidio di Peppino. Nel frattempo Felicia aveva intrapreso, sulle orme del figlio, una lotta culturale alla mafia aprendo la sua casa e raccontando la storia del figlio. Il film evidenzia soprattutto la tenacia della donna, che fino all’ultimo ha lottato per la giusta memoria del figlio. Una donna sola, contro tutti, contro i suoi stessi parenti e contro la mentalità mafiosa di Cinisi che la voleva chiusa in casa a piangere il figlio.

Dal film emergono, anche, altri spunti di riflessione: perché l’omicidio di Peppino fu mascherato in quel modo? Perché i carabinieri, pur essendo a conoscenza delle azioni contro la mafia di Peppino, non indagarono più a fondo? Dove sono finiti i documenti sequestrati e mai più ritrovati? Probabilmente Badalamenti non poteva uccidere Peppino “pubblicamente” poiché era figlio di “mafia” e per una strana logica criminale era considerato un intoccabile, così come proposto nel film. Le risposte alle altre domande sono difficili da dare; forse si è trattato di un “semplice” caso di collusione tra mafia e forze dell’ordine oppure si cela qualche mistero ancor più grave: le inchieste di Peppino avevano portato a una scomoda verità.

Nelle ultime interviste rilasciate dal fratello Giovanni è emerso che Peppino, prima di morire, stesse indagando sulla strage di Alcamo, ovvero sull’omicidio di due carabinieri in una piccola stazione di campagna. Furono accusati della strage quattro giovani del luogo, militanti nell’estrema sinistra, che conoscevano Peppino, motivo per il quale quest’ultimo si stava occupando della vicenda. Nel 2014 i quattro furono dichiarati innocenti lasciando la strage senza colpevoli. Secondo le ultime inchieste condotte da alcune testate giornalistiche la strage è da ricondurre al mondo dei servizi segreti e all’organizzazione gladio, una vasta rete di spie che operava sul territorio italiano durante la guerra fredda e che si presume avesse dei contatti con la mafia. Infatti, attraverso alcune ricostruzioni, è possibile che i due carabinieri vennero uccisi in un blitz condotto da agenti gladio per liberare alcuni loro compagni arrestati il giorno precedente.

Peppino aveva scoperto la verità? Sembra l’improbabile trama di un film di spionaggio, ma nella Sicilia dell’epoca tutto era possibile. Solo il tempo potrà dare la verità, a noi non resta che il ricordo delle vittime e della forza di Felicia.

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